La serata di gala di apertura della Mostra del Cinema di Venezia è iniziata con un italiano “buono”, cioè fedele, con il dramma di due ore e mezza “Comandante” su un capitano di sottomarino della Seconda Guerra Mondiale. Nel 1940, Salvatore Todaro fu proclamato Uomo dei Mari in tutta Europa dopo aver prima affondato una nave mercantile belga armata battente bandiera britannica e poi salvato il suo equipaggio dall’affondamento, mettendo in pericolo se stesso e il suo equipaggio.
Questo film, arrivato alla prima come produzione italiana solo a causa dello sciopero degli sceneggiatori e degli attori di Hollywood, può essere interpretato come un’affermazione di totale contraddizione.
Il festival del cinema ai tempi del governo postfascista?
“Il Comandante” vuole e può accontentare tutti: gli italiani postfascisti, che possono vivere un dramma storico che non dice una parola cattiva o critica nei confronti del fascismo di Mussolini. Invece lo dà per scontato, anche se una volta il capitano di un sottomarino disse di non essere un fascista ma un marinaio. I contemporanei illuminati sperimentano Salvatore Todaro come un filantropo in tempi in cui i capitani delle guardie costiere europee non sono in alcun modo interessati a sacrificare profughi rovesciati come Todaro con i suoi avversari in tempo di guerra.
Cosa si può dire di questo film italiano che apre la Mostra del Cinema di Venezia? In definitiva è un’opera illuminista ufficiale e patriottica, con un’immagine più o meno nascosta delle donne. Alla fine, quando gli è stato chiesto perché avesse salvato i suoi nemici dal mare, il capitano salvavita ha risposto: “Sono italiano”. Si dice che il vero Todaro abbia risposto nel 1940 alla domanda: “2000 anni di cultura europea” – una bella differenza!
L’umile saga dei sottotitoli
“Comandante” non convince quanto una patinata produzione italiana: in termini di dinamica e sviluppo dei personaggi è ben lontano dal classico sottomarino “Das Boot” e tende sempre al kitsch, e il film non riesce a pensare a molto di più. Il suo personaggio principale appare come un eroe sorprendentemente distrutto. Da “buono” italiano e almeno da gentile umanista. Questa è stata già una standing ovation da parte del pubblico al gala di ieri sera: probabilmente non sentirete più parlare del film, diretto dal regista televisivo Eduardo de Angelis, After Venice.
E altrimenti?
Nella competizione un po’ gonfia per il Leone d’Oro con 23 opere, questa volta vengono proiettati sei straordinari film della produzione italiana, più che mai prima d’ora. “La grande occasione per il nostro cinema” è stato il titolo nazionale della rivista cinematografica italiana Siak. È questa la nuova sintonia del presidente del Consiglio Giorgia Meloni? I principali beneficiari sono gli scioperi di Hollywood organizzati dai sindacati degli sceneggiatori e degli attori.
Alcuni film americani sono stati ritirati o proiettati al Lido senza che le ambite star potessero comparire sul tappeto rosso. Tuttavia, ci sono delle eccezioni: per quanto riguarda gli attori di produzioni indipendenti – come Adam Driver, che sicuramente piacerà ai suoi fan con il ruolo di Enzo Ferrari nel film biografico americano sul fondatore del famoso marchio automobilistico.
Le star tedesche competono per il Leone d’Oro
In assenza degli americani, anche i rivali tedeschi ricevono maggiore attenzione. Tra loro ci sono il regista tedesco Tim Kruger, che entra in corsa con La teoria del tutto, e Franz Rogowski, che interpreta un musicista di strada nomade nello storico film di Giorgio Dirretti “Lobo”. E anche l’attore Clemence Schick, che recita nel film “Dogman” diretto da Luc Besson.
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